mercoledì 15 dicembre 2010

giovedì 9 dicembre 2010

Traditional Hawaiian Surfing


Spiaggia di Waikiki , anni venti.......avete presente quelle onde che non rompono mai?,avete presente una decina di persone che prendono la stessa onda?, ma soprattutto, avete presente le tavole in redwood? pesanti! pesanti! pesanti!.......
PS:Da non perdere il maialino arrosto sotto le foglie di banano! si scioglie in bocca

mercoledì 1 dicembre 2010

CABALLITOS DE TOTORA

Dove ci sono tanti pescatori ci sono tanti CABALLITOS di totora!. In Perù, queste pseudo imbarcazioni, venivano usate prevalentemente per la pesca, costruite con fascine di Totora, un tipo di giunco molto diffuso in Perù, avevano un'importante ruolo nella vita delle popolazioni costiere o limitrofe a laghi e fiumi. Risalenti addirittura al periodo pre-Inca oltre che come mezzo di trasporto erano utilizzate nel tempo libero(Giustamente non si vive di solo lavoro!) anche a scopo ludico, e visto che le onde non mancavano il divertimento era assicurato. Dopo l'utilizzo venivano messe in piedi ad asciugare pronte per la nuova session, se così la vogliamo definire. Che dire? non 'c'erano solo gli hawaiiani a divertisi come matti!



mercoledì 11 agosto 2010

SURF HIPPY


Ho trovato questo articolo molto interessante sia perchè ovviamente parla di Jhon Peck ma soprattutto perchè evidenzia come il surf è un mondo dove si possono fare delle scelte che cambiano la vita .....

In quell’estate del 1962, in California, la vita per i giovani era ancora molto semplice. Stavi con i greasers o con i surfers. I primi li riconoscevi per i capelli scuri, impomatati, l’aria pallido metropolitana, i giubbotti preferibilmente di pelle. I secondi li identificavi per i capelli biondi bruciati dal sole, la perenne abbronzatura, bermuda e camicia svolazzante di due taglie più grande. I greasers guidavano auto superlucide, supercromate, super rombanti; i surfers giravano con giardinette arrugginite dal salmastro, con tavole da surf che spuntavano dai finestrini posteriori.
All’inizio era tutto molto semplice, appunto. La colonna sonora era Good Vibrations e, intorno, la vita era in stile graffiti americani, come quella immortalata, anni dopo, da George Lucas nel film omonimo. I capelli dei ragazzi erano corti, le gonne delle ragazze erano lunghe e svolazzanti. La verginità era ancora un valore morale.
L’America, la verginità la perderà l’anno seguente a Dallas, Texas, quando John Kennedy, il presidente ragazzo, verrà ucciso non si sa ancora da chi. I capelli dei ragazzi si faranno sempre più lunghi e le gonne delle ragazze sempre più corte. La guerra in Vietnam farà il resto. La ribellione dilagherà per tutto il Paese e niente sarà più come prima. La rivoluzione avrà l’aspetto dei figli dei fiori, delle droghe, dell’acido e delle tavole da surf in fiberglass, sempre più facili da maneggiare, sempre più economiche.

John Peck, leggenda vivente nel mondo del surf californiano, era il tipico rappresentante di quella nuova razza che sposava la cultura hippy e la cultura della spiaggia. A 15 anni scoprirà che il surf ce l’aveva nel sangue. La sua prima onda l’aveva cavalcata, appunto, nel 1959 con una tavola di legno di balsa sulla spiaggia di Coronado, a San Diego. E fu la rivelazione della sua vita. Subito dopo, suo padre, militare di carriera, fu trasferito alla base navale di Waikiki, nelle Hawaii e la famiglia Peck si stabilì accanto alla mitica spiaggia di Queen Surf. Il ragazzo si ritrovò, all’improvviso, immerso nella più avanzata e sofisticata cultura surfistica al mondo. «Waikiki era il paradiso», ricorda John Peck che incontriamo a Malibu a bordo del suo furgone Volkswagen giallo, reliquia del periodo dei figli dei fiori. «Allora non c’erano molti turisti e neanche troppe costruzioni. La spiaggia era tutta nostra. Buddy Boy Kaohe era il re di Queen Surf. E potevi incontrare miti come Ah Choy, BK, Rabbit e Joey Cabell».


Il mito, oggi, è lui, John Peck, surfista mistico, hippy gitano, guru non violento, che dice di parlare con Dio, pratica lo yoga, vive con un sussidio statale e per arrotondare le entrate dà una mano ad un amico che ripara auto. E dire che negli anni Settanta era finito al quinto posto nella lista dei dieci maggiori ricercati dalla polizia federale americana. Di quei guai con la giustizia non ama parlare molto, resta sul vago, dice cose sconnesse, come il fatto che Nixon avesse messo una taglia sulla sua testa perché, all’epoca, viveva in una comune maoista e il potere lo voleva vivo o morto. Dice: «Facevo tutte quelle cose che la polizia federale considerava comuniste, rivoluzionarie, sovversive, roba da alto tradimento». Una volta viene arrestato per aver “liberato” un’intero carico di pane che era stato depositato di fronte ad un fornaio di Wailuku per distribuirlo alla gente del paese. Un’altra volta “libera” un carico di droga e lo regala alla comunità hippy della zona. Questa volta non sono solo i federali ad avercela con lui, ma anche gli spacciatori. Come fece a cavarsela? John si trincera dietro: «Ero protetto dallo scudo di Cristo». E quando non è Cristo è Dio direttamente a proteggerlo o a parlargli come una volta ad un concerto di Jimi Hendrix o come quando Dio gli disse che doveva uscire dalla prigione di massima sicurezza dove lo avevano rinchiuso i federali. Lui dice di essere scappato cinque volte di prigione usando tecniche yoga che lo rendevano invisibile. Fatto sta che, alla fine, John Peck finì all’ospedale per malattie mentali dove fu deciso di ritirare tutte le accuse contro di lui e far partire la richiesta per una pensione di invalidità come disabile mentale.

Se John Peck avesse continuato sulla strada del surf professionistico oggi sarebbe probabilmente miliardario grazie alle sponsorizzazioni del settore e all’invenzione di un tipo particolare di tavola da surf che porta il suo nome: “Peck penetrator”. La stoffa del campione ce l’aveva fin dal primo momento. Lo stesso anno in cui aveva imparato a scorazzare sulle onde arrivò quarto nella gara annuale di Makaha, nelle Hawaii, mentre nel 1964 in una gara che si teneva a Malibu, arrivò secondo dietro Joey Cabell, un campione locale. Come se non bastasse i lettori della più importante rivista di surf lo votarono fra i primi dieci migliori surfisti della California. Il problema, però, era che John Peck presentava segni sempre più evidenti di insoddisfazione esistenziale. «Fu allora che entrai nel mondo della controcultura, Scoprii la marijuana e le altre droghe. Non ero esattamente dal lato giusto della società».
Oltre al surf e alle droghe l’altra grande scoperta di John Peck fu l’allora emergente movimento di “espansione della coscienza” e l’incontro con uno dei suoi esponenti, un guru locale: «Era l’immagine di Cristo. Rimasi folgorato dall’espressione profonda dei suoi occhi. Gli chiesi di andare a vivere da lui e finimmo per trovare un accordo: gli avrei insegnato a fare surf in cambio di una stanza».


In questo periodo John fu introdotto all’esperienza dell’Lsd e di altri acidi che rafforzarono sempre di più la sua esperienza mistica. Era anche il tempo in cui John si unì alla “fratellanza” – The Brotherhood – un network internazionale nato a Laguna Beach, California a metà degli anni Sessanta e che si chiamava originariamente “The Brotherhood of Eternal Love”, la fratellanza dell’amore eterno. Membro di spicco era Timothy Leary, il guru dell’Lsd recentemente scomparso. I fratelli facevano largo uso di sostanze psichedeliche che mischiavano a ideali di vita presi in prestito da religioni orientali, il tutto cementato da un codice di amore universale e di mutuo soccorso. Molti membri della fratellanza erano surfisti che, all’occorrenza, durante i loro viaggi alla ricerca dell’onda perfetta si trasformavano in corrieri della droga, attività con cui si mantenevano e che permetteva loro di non fare altro nella vita che cavalcare onde. Col tempo la fratellanza degenerò in una vera e propria rete di distribuzione di droghe pesanti il cui obiettivo non era l’amore universale ma il più prosaico far soldi.

John, cosa vuol dire oggi essere un surfista e in particolare un surfista hippy? «Un surfista, questo vale per tutti, vive la propria vita in relazione ai flussi dell’oceano, in particolare le onde e il movimento dei fondali causato dalle onde stesse in pieno oceano. É uno stile di vita che si basa sulla consapevolezza della relazione che c’è fra il vento, l’acqua e le maree. É l’essere in sincronia con tutto questo. É esserci quando le onde migliori cominciano a dipanarsi, accompagnate dalle migliori condizioni di vento. E tu cavalchi la cresta dell’onda. È uno stile di vita in sintonia con il creatore, uno stile di vita salutista e, cosa da non disdegnare, estremamente divertente. I surfisti, per loro caratteristica, sono molto territoriali e difendono aggressivamente le loro zone di costa e non amano troppo che gente estranea invada il loro territorio. Sono capaci di crearti problemi se non rispetti il loro regno. Questi, però, non hanno niente a che vedere con gli hippies. I surfisti hippie discendono, come ideali, dai primi surfisti, gente che viaggiava e si spostava in continuazione da un posto all’altro nella ricerca delle onde migliori e abbandonavano certe zone diventate troppo popolari, affollate di gente che non aveva niente a che vedere con il loro stile di vita. Tutto questo peregrinare avvicinava il loro stile di vita a quello degli zingari. Che è poi anche il mio stile di vita. Qui intorno a Los Angeles, per esempio, andavamo d’inverno a Rincon, a sud di Santa Barbara, e d’estate battevamo le spiagge di Malibu. Io sono stato uno di quei surfisti zingari che viaggiava dalle Hawaii al Perù e dal Messico alla costa dell’est degli Stati Uniti alla ricerca delle onde migliori. É così che sono diventato il primo campione mondiale di surf. A quel tempo c’era molta oppressione nelle coscienze della gente e c’era grande bisogno di liberazione. Era una cosa che sentivamo molto soprattutto qui in California. Fu sempre a quel tempo che cominciai la mia ricerca spirituale, volevo capire cosa lega l’universo alle cose che ci circondano. Girai sempre di più, diventando sempre più zingaro. Ad un certo punto ho persino abbandonato il surf e la posizione di influenza che avevo, a quell’epoca, sul movimento. Molta gente che mi stimava seguì il mio esempio. Io volevo arrivare a vivere come gli Hindu dell’Himalaya tanto che, ad un certo punto, tutto quello che possedevo era un costume da bagno. E io andavo in giro proprio così, con solo un costume da bagno. Capitava che qualcuno mi offrisse in prestito la sua tavola da surf e, allora, mi buttavo in acqua, cavalcavo le onde ed ero felice. Fu questo mio stile di vita che mi mise in serio contrasto con il governo perché, dicevano, non davo il buon esempio. La gente lasciava il lavoro, le case e si riversava a vivere nelle strade e il sistema veniva bellamente scavalcato, la gente non comprava più, ma barattava le cose. Fu così che nacque la cultura delle comuni e io ero un po’ al centro di tutto questo. In fondo non era che fossi contro il governo. Ero piuttosto un disilluso, uno a cui non piaceva troppo quello che stava succedendo nel Paese. Io ero contrario ad andare in giro per il mondo a uccidere la gente, ma non ho mai protestato contro il Vietnam, a dire la verità non credo nel concetto di protesta. Credo che non serva a niente, che sia una totale perdita di tempo. Penso piuttosto che uno debba seguire le proprie estasi, fare ciò che lo rende felice ed essere un esempio per la comunità». Oggi cosa ti rende felice? «Essere di aiuto agli altri. Fare surf e yoga dove, come e quando posso!».

fonte www.claudiocastellacci.com

giovedì 11 febbraio 2010

HOLLOW TREE SURF CO:

Circa tre anni fà mi arrivò la telefonata di un ragazzo, uno dei tanti, che stava costruendo da solo una tavola da surf. Fin li niente di strano, finchè non mi disse che questa tavola era interamente in legno! Questo bastò per accendere la mia curiosità. Quel giorno, dall'altra parte della cornetta c'era Marco, o dovrei dire Iomal, che già da un bel pò di anni portava avanti un progetto chiamato THE BODA SURFAMILY, un laboratorio aperto, incentrato su varie produzioni artistiche legate in parte al mondo del surf. Da lì il passo è stato breve e abbiamo deciso di collaborare insieme, incoraggiati dalla nuova corrente "Lignea" che stà scorrendo tra Australia, California e buona parte del mondo.
Ho sempre amato il legno, sia per la sua bellezza oggettiva, ma soprattutto perchè mi riporta alle radici di questa meravigliosa disciplina che è il surf: le antiche tavole hawaiiane, i primi long in balsa, oggetti di un fascino indiscusso; forse dopo trent'anni di attività era arrivato il momento di sognare un pò.L'idea di dedicarmi ad un lavoro più artigianale mi ha sempre attirato, creare un pezzo unico, proprio quello che vorrei avere a casa è veramente un grosso stimolo.
Da tutto questo è nata la HOLLOW TREE SURF CO., pezzi unici solo per pochi amici........... ciao e a presto

giovedì 4 febbraio 2010

OLO, KIKO'O, ALAIA , PAIPO

Il semplice gesto di pagaiare verso le onde, è già di per sè un momento di estrema libertà individuale. Gli antichi hawaiiani traevano dal surf (he' enalu) divertimento e sopratutto una forte connessione con la natura. Le tavole venivano costruite con tre varietà di legname dopo una lunga cerimonia, dove al posto dell'albero sradicato veniva seppellito un pesce, come offerta alle divinità.
Il KOA, pianta sacra ora protetta, l'ULU e il WILIWILI, offrivano ad uno "shaper" eletto dalla comunità la possibilità di creare dei veri e propri oggetti sacri. Lo dimostra il fatto che in principio il surf era un'attività riservata alla nobiltà. Si utilizzavano tavole alte oltre 24 piedi, di grosso peso, molto difficili da usare. Le principali tipologie di solito venivano distinte secondo la grandezza, anche se i confini sono molto sottili in fatto di "Outline". L'OLO era la tavola regale riservata solo ai membri più importanti della comunità costruita in legno di wiliwili, molto larga, poteva arrivare a 24 piedi, con uno spessore di oltre 6 pollici. Ci sono anche delle derivazioni come l'ONINI, tavola spessa di solito in legno di Wilywily, oppure l'OWILI, sempre molto simile all'OLO.
Il KIKO 'O variava dai 12 ai 20 piedi, ovviamente poco manovrabile, con una prua molto stondata adatto su onde non molto formate e lente.
Mentre le classi nobili utilizzavano gli OLO in breaks a loro riservati su onde grandi ma frananti con una grossa portata d'acqua, tra i veloci beach breaks le classi comuni utilizzavano tavole più corte le ALAIA ed i PAIPO.
Le ALAIA erano tavole che potevano andare dai 7 ai 12 piedi, più leggere degli OLO,spesse circa un pollice e mezzo, permettevano di sfruttare la velocità delle onde più formate e veloci utilizzando una tecnica che in hawaiiano viene chiamata LALA. Non avendo pinne il controllo di queste tavole si concentra sul gestire il bordo all'interno del cavo dell'onda, cercando di tagliarla velocemente in partenza. La velocità che si sprigiona da queste tavole è notevole, sia in piedi che sdraiati, come nel caso del PAIPO, di altezza minore (circa 4 piedi). Quest'ultimo potrebbe essere considerato a ragione il progenitore del moderno BODYBOARD. Certamente bisogna affrontare un discorso diverso nei confronti della riscoperta di queste tavole, merito, in buona parte, di una felice intuizione dello shaper australiano TOM WEGENER, anche se gente come GREG NOLL o TOM POHAKU non hanno mai smesso di produrre queste affascinanti repliche.
Oggi questi frammenti di storia si stanno riaffacciando prepotentemente nel moderno mondo del surf, affascinando grandi personalità di questo sport.
Un modo per confrontarsi con la storia e per spostare i propri limiti senza regole ..... buon divertimento!

giovedì 14 gennaio 2010

DUKE KAHANAMOKU "L'ambasciatore dell'aloha spirits"



DUKE PAOA KAHANAMOKU nasce ad Halehakala il 24 agosto del 1890 nell'isola di Maui. In quanto primogenito gli fù dato il nome del padre, che a sua volta ricevette il nome in onore della visita alle hawaii del duca di Edimburgo nel 1869. Infatti il termine duke significa duca. La splendida spiaggia di Waikiki darà al giovane Duke la possibilità di scoprire le sue innate capacità atletiche e come per tutti i bambini hawaiiani, la passione per l'oceano diventa irrefrenabile. Finita la scuola passa le sue giornate a nuotare e di li a poco inizierà anche a surfare con la sua PAPA NUI, una 16 piedi interamente in legno di KOA molto pesante. Ma sarà il suo grande talento di nuotatore a sdoganarlo agli occhi del mondo. Nel 1911 nella baia di Honolulu, partecipando ad una gara, batte tutti i record e il suo ingresso nella nazionale statunitense di nuoto è quasi scontato. Vince l'oro a Stoccolma nel 1912 ripetendosi ad Anversa nel 1920. Ormai è una star.
Prima e dopo il ritiro dalle competizioni Kahanamoku compirà parecchi viaggi dimostrativi soprattutto in America e in Australia, è facile capire come le sue dimostrazioni, che comprendevano esibizioni sul surf, contibuirono fortemente alla diffusione di questa disciplina. Durante le sue visite in California venne scelto anche per interpretare vari film per Hollywood diventando ancor più popolare, e con lui anche il surf. Nonostante la sua fama, la grandezza di questo"BIG KAUNA" e stata propio la capacità di interpretare in pieno la spiritualità profonda delle tradizioni Hawaiiane. Visse sempre a pieno l'ALOHA SPIRITS che incarna gentilezza, unità, armonia ed umiltà. Una vita semplice in perfetto equilibrio tra le onde dell'oceano ed un mondo giusto, come insegnavano i padri Hawaiiani.
Sviluppò una forte coscienza ecologista e di condanna verso ogni forma di inquinamento, mettendosi al servizio della sua comunità lavorando come sceriffo per la contea di Honolulu dove morì nel gennaio del 1968 abbracciato da una massiccia partecipazione di tutti i Waikiki beach .
Oggi il nome di Duke Kahanamoku rappresenta tutto quello che di buono c'è nel mondo del surf, dove la vita del surfista non finisce sul bagnasciuga, ma bensì trova la sua completezza nella ricerca idividuale. La natura, gli amici, l'amore dei nostri cari, ogni giorno ci riempiono la vita, capire questo ci fa essere campioni dentro e fuori dall'acqua, anche se in realtà riusciamo a prendere a malapena qualche onda........ ciao